Dall’Espressionismo al Gruppo Azimuth, il “secolo breve” dell’arte attraverso le due guerre mondiali.
Ci addentriamo nella prima metà del Novecento sulle sollecitazioni dei grandi maestri in una dimensione esplicativa delle emozioni vissute. Soprattutto se non dimentichiamo che questi artisti sono stati i protagonisti di una ripresa dell’arte nel peggior periodo del XX secolo, dopo tragedie mondiali e nella costruzione di una nuova Italia. Ricordare, dunque, che l’arte possa essere veicolo di rinascita e di cultura e che le proposte artistiche qui narrate sono state volano di una critica del linguaggio attraverso l’interpretazione dell’estetica, è la sintesi che sta in questa narrazione in un breve panorama del suo sviluppo negli anni in cui l’artista ha posto domande sui modi espressivi in rapporto soprattutto con il sociale.
Infatti, si tendeva a un diverso modo di fare arte e come le due facce di Giano si guardava con attenzione a proposte, diverse e contrarie, che cercavano di affrontare il tema culturale in atto. In altre parole la ricerca di una pienezza che avrebbe dato un valore al vivere e di esistenza all’arte stessa, una bussola nella selva di pensieri e di sensazioni per unire e articolare tutte le aspirazioni artistiche in un dibattito su arte e arte.

Nella foto: Colazione sull’erba (Le Déjeuner sur l’herbe), un dipinto del pittore francese Édouard Manet, realizzato nel 1863 e conservato al Museo d’Orsay di Parigi. (part.)
L’anno d’inizio dell’era moderna nell’arte considerata per negoziato, transazione o accomodamento dagli storici è il 1863, e si cita un’opera ben precisa, quella di Edouard Manet con il quadro Le déjeuner sur l’herbe presentato a Parigi in quell’anno. Anche se si potrebbero prendere in considerazione altre date ancora precedenti a questa, come il 1855, l’anno in cui Gustave Courbet esibì L’atelier dell’artista, mentre nei suoi fondamenti estetici e filologici si allontana da quel contesto culturale che risente della committenza che spesso ingabbiava in rappresentazioni formali o comunque non scevra da motivazioni come quelle religiose o di eventi da trasmettere ai posteri. Diversa la logica, dunque, da fine Ottocento alla prima metà del Novecento procedendo per punti fondamentali, molti e diversi, e per varie direttrici, e cioè attraverso i movimenti artistici più importanti, i manifesti e i gruppi fondanti e rappresentativi di un’arte ricca di contenuto.
Nel 1909 Filippo Tommaso Marinetti si rivolge a poeti, pittori, scultori, musicisti, e propone il primo Manifesto del Futurismo, pubblicato sul quotidiano parigino “Le Figaro”, dove emerge l’intenzione di voler plasmare una nuova concezione della vita e delle arti. Tra iprimi ad affiancarsi Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Gino Severini, Luigi Russolo e Carlo Carrà, protagonisti di una corrente artistica che si distacca dal passato in un pensiero proiettato nel futuro, nei cambiamenti politici e nelle scoperte tecnologiche. “Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerarietà”, vi leggiamo. “Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità …”. Temi che nel 1912 Boccioni, Carrà e Russolo espongono a Milano nelle prime opere futuriste alla “Mostra d’arte libera” nella fabbrica Ricordi, mentre oltre confine registriamo il contatto con Guillaume Apollinaire tramite Marinetti e le relazioni con esponenti delle avanguardie russe e tedesche. I primi passi di un grande movimento artistico e forse l’unico che ha valicato le Alpi approdando fuori dai nostri confini quando l’Europa cercava di rinnovare il linguaggio dell’arte con una nuova pittura.

Aldo Palazzeschi, Carlo Carrà, Giovanni Papini, Umberto Boccioni, Filippo Tommaso Marinetti, con i loro contributi alla rivista Lacerba favoriscono la diffusione artistica, culturale e politica dei temi cari al Futurismo.
Poi alla morte di Boccioni nel 1916 il Futurismo si concretizza in una fase della durata di circa dieci anni (dal 1918 al 1928) e si caratterizza per un ancoraggio con il postcubismo e il costruttivismo, mentre negli anni successivi (dal 1929 al 1938) non disdegnerà la tendenza surrealista e arriverà al suo epilogo nel mito dell’azione per l’azione come nucleo centrale della sua poetica. Infatti, fra i due conflitti mondiali ci sarà già un recupero della tradizione in “Novecento”, movimento artistico che caratterizzerà nel 1922 la maniera uscita dalla Prima guerra mondiale, sancendo la rinuncia agli ideali delle avanguardie, per digerire, in chiave nazionalistica, i principi di “un ritorno all’ordine” rappresentato da Achille Funi e Mario Sironi, Ubaldo Oppi e Giorgio Morandi, e in alcune premesse che erano già in Giorgio De Chirico.
C’è, quindi, una grande volontà di cambiare che ha portato alla rottura con il passato. Ci pensa Duchamp con la provocazione dell’orinatoio, titolato Mutt (Fontana), nel 1917 a New York. Inoltre, l’arte di quegli anni è caratterizzata dal susseguirsi di numerosi episodi: dal movimento Art Nouveau che dalla Francia si espande in altri Paesi e apre al “modernismo” dettando nuove frontiere per un’arte ispirata dalla natura che in Italia si chiamerà Liberty, in Austria Secessione – di cui uno dei principali artisti sarà Gustav Klimt – e Modern style in Gran Bretagna. Mentre in Germania, nel 1905, un gruppo di giovani rinnovava il linguaggio dell’arte formulando un “Die Brucke”, cioè “Il ponte”, verso una nuova pittura che si approcciava ai problemi sociali utilizzando colori violenti per comunicare drammaticità e tensione, genesi dell’espressionismo tedesco che con quello francese influenzerà gran parte del primo Novecento anche in Italia.
Si preferiva il lato emotivo della realtà rispetto a quello percepibile oggettivamente, e così negli stessi anni in Francia l’esperienza del gruppo dei Fauves che poneva attenzione al colore steso a macchie pastose, e non a ciò che si rappresentava. Si parlava di Fauvismo, con artisti “fauves” quali Matisse, Rouault, Albert Marquet e Braque, così chiamati dal critico d’arte Louis Vauxcelles che, nel visitare una mostra di questa tendenza artistica già operante da alcuni anni, esclamò definendola una “cage aux fauves”, ovvero una “gabbia delle belve”, riferendosi al violento uso del colore. Poi arriva sulla scena artistica il termine “cubismo” dal Paysage à l’Estaque, dipinto esposto da Braque al Salon d’Automne del 1908, che con Picasso porterà questa tecnica pittorica a livello mondiale, ricreando oggetti scomposti con l’aiuto simultaneo dato dall’unione di forma plastica e conoscenza delle figure rappresentate in diverse apparenze.
Da qui all’Espressionismo tedesco di Eduard Munch e a quello austriaco di Egon Schiele, il passo sarà breve, per un’arte che deformerà alcuni aspetti della realtà, così da mettere in primo piano i valori emozionali ed “espressivi”, appunto, come nell’urlo silente e intimo vissuto nell’opera di Munch. In Italia, invece, Giorgio de Chirico e Carlo Carrà inaugurano la Metafisica – cui aderirono anche Morandi e altri pittori italiani quali Filippo De Pisis e Felice Casorati – dove il silenzio sarà atmosfera serena nell’immobilità delle cose. Un’arte tra rivelazione e malinconia, ossia il visibile pittorico di là dall’esperienza dei sensi, in un’appartenenza che possiamo far risalire a una tradizione filosofica, come nella genesi delle famose piazze.
E quando nel 1921 l’esperienza era alla fine, restò di basilare importanza per la nascita del surrealismo, tanto che i protagonisti di questa corrente riconosceranno in De Chirico un loro precursore. Un’arte che richiamava non la verità dell’oggetto ma la sua anima, negli stessi anni in cui Picasso trasformava il distinguibile e molti artisti si affidavano all’astratto, ma tutti verso un nuovo modo di profferire capacità di significato. Mentre in Svizzera nel 1916 nasceva il movimento Dada, il primo veramente trasgressivo che andava contro l’arte stessa, con importanti approcci a New York, Berlino e Parigi, dove si sciolse nel 1922. Una vita breve ma duratura per tutta la storia dell’arte tanto che da quegli anni a oggi ancora se ne vedono tracce.
Emergeva la particolarità principale che risiedeva nello sperimentalismo che nasceva all’interno di gruppi formati per definire un metodo e per cambiare tutto, con la tendenza, tra movimenti e manifesti, a riferimenti con altro. Fino a quella che è considerata l’ultima delle avanguardie del primo Novecento: il Surrealismo teorizzato a Parigi dal poeta André Breton negli anni Venti, giacché il fenomeno delle avanguardie considerate storiche si spense intorno agli anni Trenta.
Quello che è certo è che hanno creato un rinnovamento dei linguaggi artistici e hanno avviato un altrove da sondare pur in momenti difficili negli anni di amalgami artistici e di comunanza tra artisti nella nascita di collettivi dove confrontarsi. A Parigi il gruppo Réalités Nouvelles, organizzato nella prima esposizione del 1939; negli Stati Uniti il tedesco Josef Albers realizza opere cinetiche, formando il fondamento dell’astrazione della Op Art, poi sviluppata da Victor Vasarely, mentre New York si preparava ad accogliere molti artisti in fuga dall’Europa nazifascista che porteranno le loro inedite indagini.
Nel 1943 l’arte informale materica esplode con il pittore francese Jean Fautrier; fra il 1938 e il 1943 è attivo in Italia il Gruppo Corrente con Treccani. In ottobre del 1946 il manifesto della “Nuova Secessione artistica italiana”, in seguito denominato Fronte Nuovo delle Arti, e nell’aprile del 1947 Lucio Fontana rientrava a Milano con il “Manifesto Blanco” elaborato l’anno prima a Buenos Aires. Nel 1947 a Roma nasceva il Gruppo Forma 1, con Carla Accardi, Consagra, Dorazio e altri; nel 1948, a Roma, l’europeo Gruppo Cobra che rifiuta la tradizione e si oppone alla ricerca della bellezza e dell’armonia nell’arte. Parte il Movimento Arte Concreta, a Milano ancora nel 1948, in contrasto con il realismo impegnato e all’informale irrazionale per arrivare a un post-informale e a un astrattismo geometrico.
Segue la rielaborazione dell’oggetto d’uso quotidiano inserito nell’opera d’arte, mentre a Milano nel 1951 evolve il manifesto del Movimento Nucleare (Baj, Dangelo) con alcuni dei fondatori a Napoli del Gruppo 58 (Colucci) che criticava l’astrattismo per una “nuova figurazione”, mentre a Roma si forma il Gruppo degli Otto, pittori non figurativi: Basaldella, Birolli, Corpora, Moreni, Morlotti, Santomaso, Turcato, Vedova. Poi altre strade di ricerca artistica mentre irrompe il manifesto “Contro lo stile”, che rigettava ogni convenzione stilistica, e il Gruppo Azimuth (Manzoni, Castellani) che chiamava a una pittura come “presenza modificante in un mondo che non necessita più di rappresentazioni”.
Il dissenso poi si esprimerà attraverso la dissoluzione della forma progettata e riconoscibile, in quell’arte degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, con la Pop art e il “nuovo realismo”, mentre a Roma gli artisti di Piazza del Popolo (Angeli, Tano Festa, Fioroni, Schifano) rendevano la capitale a livello di New York e Parigi, nel culmine di una rivalutazione della pittura gestuale che troverà linfa nell’appropriazione del reale e assumerà valenza oggettuale, anche con il “neo-dada” e l’arte povera nel “concettuale” travisato in una “non arte” senza significato.
Sarà l’evolversi di eventi, in una sorta di vasi comunicanti tra temi archetipi e suggestioni formali, l’idealismo di anni d’arte legato al progredire della società e che oggi, forse, non è riuscito a superare del tutto l’individualismo esaltante che estremizzava tutto. Ma questa è un’altra storia.

Pubblicato sul Catalogo dell’Arte Moderna (CAM 59) dell’Editoriale Giorgio Mondadori.