Alla Galleria Fucsia di Brescia dal 2 al 30 marzo la mostra a cura del critico d’arte Andrea Barretta: “Pop Art: da Warhol agli italiani”.

Basta ancora oggi dire “anni ‘60” senza alcun altro riferimento che subito richiama alla mente un periodo leggendario. Anni irripetibili non solo per una logica temporale ma per quella carica aggregativa in ogni ambito: dal sociale al politico all’economia, dalla musica alla letteratura, dal design all’arte in genere, con esperienze importanti che hanno lasciato un’orma che molti ancora seguono. La cultura artistica entra in un momento di forte creatività, supera l’informale e inizia una stagione unica, confrontandosi tra le diverse anime della Pop art italiana, da Enrico Baj e Mimmo Rotella, anticipatori di questa esperienza, allo stesso modo in cui sono considerati Warhol e Rauschenberg nella cultura statunitense con Keith Haring, fino agli animatori delle notti romane come Tano Festa, Franco Angeli, Mario Schifano e Lucio Del Pezzo. Maestri che hanno animato quel felice decennio sull’eredità delle avanguardie come Piero Manzoni, cui si aggiungono Ugo Nespolo in una straordinaria stratificazione culturale fino ai nostri giorni con Marco Lodola e Concetto Pozzati. In questa occasione ci sarà anche un Pop Shop che includerà una serie di oggetti collezionabili in edizione limitata.


Tra le opere in mostra due ritratti di Marilyn di Andy Warhol. Della serie di ritratti della celebre attrice tutti dello stesso formato quadrato 92 x 92 cm, con diversi colori di base, dal rosso all’arancio, azzurro, blu gray e turchese. La fotografia selezionata da Warhol apparteneva ad una pubblicità del film “Niagara” del 1953, in cui Marilyn aveva recitato. Egli creò numerose opere di pop art con la Monroe, invece di disegnare o dipingere il suo volto, certo del fatto che chiunque l’avrebbe riconosciuto. Ma perché la Monroe? Perché Marilyn incarnava lo status della celebrità e rappresentare personaggi famosi nella pop art divenne una delle caratteristiche del movimento negli anni ‘60: è un’interpretazione dell’ossessione dei mass media per tale cultura.
La tecnica serigrafica che Warhol ha usato per i ritratti della Monroe appiattisce ulteriormente l’immagine bidimensionale. Riducendo le sfumature e usando colori brillanti, egli esalta la piattezza emotiva e mostra sottilmente il lato superficiale di questa donna. Un sex symbol creato dalla società; una donna che è tutto quel che la società voleva che fosse. Concentrandosi sulle sue caratteristiche iconiche, Warhol in realtà ci ricorda che c’è una donna vera lì sotto. Gli storici e gli esperti d’arte, infatti, non hanno altre teorie sul simbolismo nascosto nei ritratti di Marilyn; sui motivi per cui Warhol avrebbe utilizzato determinati colori, e sul messaggio che, comunque, ha cercato di trasmettere alla società.


Di Warhol anche “Lion” (1975),litografia offset eseguita in edizione limitata e numerata per Bolaffi Arte nella serie “Zodiaco”, con firma originale e autentica di Andy Warhol. Garanzia timbro a secco Bolaffi e certificazione notarile sul retro. Opera pubblicata sul catalogo “Opere grafiche” a cura di Achille Bonito Oliva, e sul catalogo generale delle opere grafiche “Feldman & Shellman”. Stampatore Ages Arti Grafiche, Torino. “Un leone col rossetto”, con riferimento alle macchie di colore rosso acceso che l’artista disegnò sul muso dell’animale, a mo’ di trucco. Tale rappresentazione sembra richiamare alla mente il volto di Grace Jones, amica dell’artista, che fu probabilmente la sua musa ispiratrice per quest’opera.
Ancora Marilyn in un decollage di Mimmo Rotella. Nel 2005, un anno prima della morte di Mimmo Rotella, l’artista e la poetessa Alda Merini, decidono di “creare” quello che diventerà un vero e proprio libro d’arte dal titolo: “Marilyn: Bellezza Eterna”. La tiratura è limitata a soli 199 esemplari + 19 PA dedicate “ad personam”. La particolarità però, che rende questo libro unico nel suo genere, è che al suo interno si trovano dieci multipli dècollage di Mimmo Rotella dedicati a Marilyn Monroe e dieci poesie inedite appositamente composte da Alda Merini.
Le opere di Rotella presenti nel libro sono realizzati con incollaggio e strappo manuale, rendendo quindi ogni opera unica e irripetibile. Firmate e numerate a mano da Mimmo Rotella sono state stampate tramite torchi a mano su carta pregiata BFK Rives da gr. 250 mq. prodotta appositamente dalla carteria Arches. Ognuna delle dieci opere grafiche di Rotella, è accompagnata nella pagina a fianco, da una poesia inedita di Alda Merini, che scrisse solo ed esclusivamente per questo progetto, scavando a nudo nella personalità tormentata di Marilyn Monroe, protagonista indiscussa. Dunque, ognuna delle dieci opere di Mimmo Rotella è corredata dalla pagina che l’affianca, riportante la poesia inedita di Alda Merini.


Gli anni Sessanta videro l’emergere di movimenti riconducibili alla corrente dell’arte astratta, in parte derivazione dell’espressionismo: tra i più conosciuti l’Action Painting di Pollock e de Kooning e la pittura a “campi di colore” di Rothko. Ma oramai si è sempre più caratterizzati da una società di massa dominata dai tratti del consumismo e anche l’arte se ne appropria: nasce la Pop art che si mostrerà in Italia nel primo decennio grazie alla Biennale di Venezia del 1964. La rassegna susciterà forti e contrastanti reazioni della critica ufficiale e non solo, tanto che il presidente della Repubblica, Antonio Segni, non andrà all’inaugurazione ufficiale, là dove c’erano opere (e “oggetti”) rappresentanti con grande enfasi il quotidiano ed altro ancora – sia nelle dimensioni che nei cromatismi accesi – e le pubblicità di consumo presentate come monumentali sculture. La critica, dunque, non ne comprese il significato restando – anche negli anni a venire – inflessibile nel definire gli artisti di questo periodo come legati a una cultura da evitare, come fautori di un fenomeno d’importazione, e ne ignorò la novità rappresentata dal superamento della polemica tra figurazione e astrazione.
Alla fine degli anni Cinquanta Baj e Rotella abbandonano il loro fare artistico, la loro precedente cifra stilistica genericamente definibile come informale, per proiettarsi negli anni Sessanta che già sentivano in una nuova creatività: Baj appunterà l’attenzione su composizioni del kitsch contemporaneo o crea personaggi con il gioco del meccano, dando vita a sculture pop, mentre Rotella appronta i decollage e inizia a riferirsi alle grandi icone propagandistiche di quegli anni, come testimonia il suo “Punto e mezzo” o “Scotch Brand”. E arriviamo al 1964, l’anno storico del “pop” italiano, fenomeno spontaneo che però già nel 1968 volgerà alla fine, ovvero quando s’incominciò a sperimentare altro.


Nella Pop art italiana è possibile scorgere una differenza sostanziale dalle opere pop americane, ed è il radicamento della nostra tradizione pittorica ricca di memoria culturale, così diversa da quella che potremmo definire “primitività moderna” riscontrabile negli State, e poi i contenuti della pop italiana sono poetici, mentre quelli inglesi sono dati da artificiose immagini che diventano generiche in quelle americane. Ecco, allora, che Mario Schifano nel rappresentare il consumismo del “boom economico” italiano, in una serie di particolari ingranditi di marchi pubblicitari, non si discosta dalla pittura e la rende “grondante” di colore materico; mentre l’opera di Lucio Del Pezzo palesa una matrice metafisica, con chiare citazioni di De Chirico, e così pure le silhouette in legno di Mario Ceroli, sagome figurative in ripetizione seriale di stereotipi culturali italiani, o le duplicazioni di Giosetta Fioroni: insomma tutti assimilano e mutano il “pop” in chiave erudita, giacché per gli artisti italiani il confronto con la conoscenza è indispensabile e le citazioni più o meno esplicite ne sono una costante, aprendo un gioco affettuoso con la storia dell’arte.
Così, ad esempio, nel nostro contemporaneo Marco Lodola cita Joe Tilson e Blake ma anche Gerald Laing, esponenti della Pop art inglese, proponendo un recupero di ambienti o situazioni anni Sessanta e immagini di pin up come sulle copertine di rotocalchi americani, presentanti come icone accanto a divi della musica. Tra i protagonisti ancora Mario Schifano, poi Mimmo Rotella, che archiviava immagini nell’esporre il consumismo della vita quotidiana con accumuli della tradizione visiva, tra monocromi e dipinti con la terra, l’asfalto, le vernici, i manifesti strappati, come in un perenne “on the road”. Così i “fumetti” di Adami che, seguendo i canoni pop di Lichtenstein, sviluppano una sorta di racconto giocoso in scene d’interni dove sono disposti oggetti della modernità in stesure piatte di colore dentro marcate recinzioni nere del disegno.
Ma la Pop art ormai sopravvive a sé stessa e sussiste solo con altri procedimenti stilistici nella contemporaneità. Ora la Pop art evita qualsiasi legame con quanto sia dato da componenti presi a sé, nella carica seducente che astrae l’oggetto in una specie di idolo; ora la civiltà dei consumi diventa il suo stesso confine, la sua misura, oltre cui non riesce ad evolversi. Ora l’arte pop italiana entra in un processo che mette in atto l’insicurezza della realtà, e oggetti quotidiani o messaggi pubblicitari o personaggi che rappresentavano solo immagini riprodotte al di fuori dell’ambiente deputato ora si trasformano in altri oggetti, altri messaggi e altri personaggi, ma qui siamo già nella post-Pop art che dimostra semmai come l’arte “pop” fosse in grado di confrontarsi con tutti gli aspetti della creazione artistica, da quelli più alti della pittura a quelli dei fabbricanti di produzioni commerciali in una stagione mai conclusa ma ormai oggi corrotta e snaturata.
Pop Art da Warhol agli italiani, dal 2 al 30 marzo, a cura di Andrea Barretta, Galleria Fucsia, Brescia, Via Agostino Gallo 3, tel. 351 953 8100. Ingresso libero.
Orari: martedì-venerdì 10-13 /15-18.30, sabato 10-20.