Ricordare che l’arte possa essere veicolo di cultura e che le proposte artistiche possano essere volano teoretico di una critica semiotica attraverso l’ermeneutica dell’estetica, sta in un panorama dello sviluppo negli anni del Novecento in cui l’artista ha posto domande sul linguaggio e sui modi espressivi. Un nuovo percorso artistico e intellettuale, per riflettere sul significare i metodi di lettura dell’arte, rispetto a un approccio che – soprattutto oggi – frutta spesso incomprensioni. Infatti, pur distinguendo tra le varie tendenze che ormai toccano tutto il possibile e tutti i mezzi espressivi, la storia dell’arte moderna descrive tutto quanto può essere raccontato così da produrre la speranza di un ritorno alla bellezza.

Lo sguardo iniziale, allora, è rivolto alle ragioni di una realtà artistica nel suo esistere, per una coerenza professionale in un clima di serena condivisione, per un possibile modello culturale come articolazione di saperi sostenuti dall’emozionarsi in un rapporto umano con l’arte nel suo eterno cammino. E l’alimento culturale è la coerenza del reale contatto con il pubblico attraverso straordinari anni d’arte come specchio della società per ripercorrere e riattualizzare l’arte. Andiamo, dunque, nei diversi modi creativi negli anni storicizzati dalle avanguardie e dintorni, e fino agli anni Settanta seguendo il corso degli eventi e tenendo come ideale filo conduttore la ricostruzione di un periodo entusiasmante per l’arte, tra reciproche influenze internazionali e grandi elaborazioni, in cui gli artisti non sono stati inerti né per gli aspetti sociali né per quelli storici con avvenimenti che hanno segnato pittura e scultura. Una mappa che possiamo cominciare con una ricognizione storica artistica raffrontata principalmente tra l’Italia, l’Europa e gli Stati Uniti, per comprendere gli snodi dell’arte del XX secolo, e per offrire al lettore tutti gli ingredienti di una rappresentazione complessa. I temi toccati, infatti, tracciano i luoghi del dibattito sui confini dell’arte stessa come proposte di evidenze esplicite legate al rapporto di autonomia e insieme di libertà in anni difficili e di forte cambiamento sociale. Inoltre, l’eliminazione della relazione tra figura e segni pittorici, e la contestazione nella definizione di un’arte postmoderna che testimoniano figure e vicende, fino al momento in cui New York prevarrà su Parigi, mentre la situazione italiana era caratterizzata dal formarsi di “gruppi” e movimenti all’interno dei quali gli artisti interpretavano sinergie o contrapposizioni.
Per stimolare la capacità di aprire altre prospettive di riflessione su una grande avventura creativa che ha avuto un ruolo per nulla marginale nell’arte moderna e poi in quella contemporanea. Senza gridare a un ritorno al solo ordine pittorico, la produzione artistica del XX secolo, è stata frutto di una varietà ampia dei vari percorsi artistici, in un’analisi storica all’origine di canoni di riferimento per non perdere di vista l’Artista, all’interno dei processi costituenti il post moderno, riconoscendogli un substrato culturale di un’epoca particolare e segnata da fatti anche tragici che inizieranno a stemperarsi soltanto con l’avvento dei mitici anni Sessanta. Restano straordinari momenti in un alfabeto di molti grandi artisti nella conferma di protagonisti per riconoscere la bellezza.
C’è mescolanza tra arte moderna e contemporanea, anzi c’è confusione. Con il termine “moderno” abbiamo posto una distinzione dall’arte classica antica, dal Medioevo al Rinascimento, riferendoci a un periodo che va dalla metà del Quattrocento alla fine del Settecento, quando per accettazione accademica si fa iniziare l’arte postmoderna. Questo per una definizione storica con quegli stili che riconducono al bello non per un gusto formale ma per scelta espressiva. E se queste e altre date – ad esempio il 1492 come spartiacque tra “vecchio” e “nuovo” – hanno un significato nel cammino dell’arte moderna stessa, allo stesso tempo non ne marcano un inizio assoluto perché un periodo così lungo difficilmente può indicare un’età ben definita e lo stesso per un criterio non arbitrario d’inizio e di fine, tanto che gli equivoci nascono quando si dà a “moderno” la stessa accezione di “contemporaneo”. Altra semplificazione è riferirsi all’arte moderna per le opere artistiche prodotte approssimativamente tra gli anni 1860, epoca di transizione tra romanticismo e realismo, e l’intero decennio degli anni Settanta del Novecento, punto d’inizio non accademico ma convenzionale dell’arte contemporanea.

L’anno, dunque, d’inizio dell’era moderna nell’arte considerata per negoziato, transazione o accomodamento dagli storici è il 1863, e si cita un’opera ben precisa, quella di Edouard Manet con il quadro “Le déjeuner sur l’herbe” presentato a Parigi in quell’anno. Anche se si potrebbero prendere in considerazione altre date ancora precedenti a questa, come il 1855, l’anno in cui Gustave Courbet esibì “L’atelier dell’artista”, mentre nei suoi fondamenti estetici e filologici si allontana da quel contesto culturale che risente della committenza che spesso ingabbiava in rappresentazioni formali o comunque non scevra da motivazioni come quelle religiose o di eventi da trasmettere ai posteri. Diversa la logica, quindi, da fine Ottocento alla prima metà del Novecento, che andiamo ad analizzare, procedendo per punti fondamentali, molti e diversi, e per varie direttrici, e cioè attraverso i movimenti artistici più importanti, i manifesti e i gruppi fondanti e rappresentativi di un’arte ricca di contenuto.
Nel 1909 Filippo Tommaso Marinetti si rivolge a poeti, pittori, scultori, musicisti, e propone il primo Manifesto del Futurismo, pubblicato sul quotidiano parigino Le Figaro, dove emerge l’intenzione di voler plasmare una nuova concezione della vita e delle arti. Tra iprimi ad affiancarsi Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Gino Severini, Luigi Russolo e Carlo Carrà, protagonisti di una corrente artistica che si distacca dal passato in un pensiero proiettato nel futuro, nei cambiamenti politici e nelle scoperte tecnologiche. “Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerarietà”, vi leggiamo. “Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità …”. Temi che nel 1912 Boccioni, Carrà e Russolo espongono a Milano nelle prime opere futuriste alla “Mostra d’arte libera” nella fabbrica Ricordi, mentre oltre confine registriamo il contatto con Guillaume Apollinaire tramite Marinetti e le relazioni con esponenti delle avanguardie russe e tedesche.

C’è, dunque, una grande volontà di rompere con la cultura che ha portato a un vortice del nulla nichilistico in fatti storici mondiali, fra cui le due grandi guerre e gli avvicendamenti politici. Ci pensa Duchamp con la provocazione dell’orinatoio, titolato “Mutt” (Fontana), presentato nel 1917 a New York. Non solo. L’arte di quegli anni è caratterizzata dal susseguirsi di numerosi episodi artistici: dal movimento Art Nouveau che dalla Francia si espande in altri Paesi e apre al “modernismo” dettando nuove frontiere (soprattutto in architettura) per un’arte ispirata dalla natura che in Italia si chiamerà Liberty, in Austria Secessione – di cui uno dei principali artisti sarà Gustav Klimt – e Modern style in Gran Bretagna. Mentre in Germania, nel 1905, un gruppo di giovani rinnovava il linguaggio dell’arte formulando un “Die Brucke”, cioè “Il ponte”, verso una nuova pittura che si approcciava ai problemi sociali utilizzando colori violenti per comunicare drammaticità e tensione, genesi dell’espressionismo tedesco che con quello francese influenzerà gran parte del primo Novecento anche in Italia.
Si preferiva il lato emotivo della realtà rispetto a quello percepibile oggettivamente, e così negli stessi anni in Francia l’esperienza del gruppo dei Fauves che poneva attenzione al colore steso a macchie pastose, e non a ciò che si rappresentava. Si parlava di Fauvismo, con artisti “fauves” quali Matisse, Rouault, Albert Marquet e Braque, così chiamati dal critico d’arte Louis Vauxcelles che, nel visitare una mostra di questa tendenza artistica già operante da alcuni anni, esclamò definendola una “cage aux fauves”, ovvero una “gabbia delle belve”, riferendosi al violento uso del colore: infatti, discutevano molto d’impressionismo, spesso in termini negativi, ma apprezzando la novità di una luce generata dall’accostamento di colori puri.
Arriva sulla scena artistica il termine “cubismo” dall’Estaque, esposto da Braque al Salon d’Automne del 1908, che con Picasso porterà questa tecnica pittorica a livello mondiale, ricreando oggetti scomposti con l’aiuto simultaneo dato dall’unione di forma plastica e conoscenza delle figure rappresentate nelle sue diverse apparenze, quasi in una realtà tridimensionale. Da qui all’Espressionismo tedesco di Eduard Munch e a quello austriaco di Egon Schiele, il passo sarà breve, per un’arte che deformerà alcuni aspetti della realtà, così da mettere in primo piano i valori emozionali ed “espressivi”, appunto, come nell’urlo silente e intimo vissuto nell’opera di Munch. In Italia, invece, Giorgio de Chirico e Carlo Carrà inaugurano la “Metafisica”, dove il silenzio sarà atmosfera tranquilla e serena nell’immobilità delle cose, e che “consiste nel togliere il mistero e l’enigma dalla parte dell’oscurità – scrivevano – e consegnarli alla chiarezza e alla precisione della forma”. In Svizzera nascerà il movimento “Dada”, il primo veramente trasgressivo che andava contro l’arte stessa; ma siamo nel periodo della Prima guerra mondiale, quando tutto era perduto in una tragedia umana. Prevale, così, il desiderio di cambiare e di mettere in discussione tutto ciò che era accettato per inerzia dalla massa; voglia di distruggere ma anche di ricostruire.
Mancava però una “casa comune” del sentire l’arte, e sarà dall’Europa all’oltre Atlantico e viceversa, dagli Stati Uniti a noi, che si apprenderà un nuovo alfabeto creativo. In questo nel primo decennio sarà Vladimir Evgrafovič Tatlin a essere tra i più attivi esponenti dell’avanguardia europea, protagonista in Russia del nascente “Costruttivismo”, mentre Kazimir Severinovič Malevic, dopo aver elaborato le avanguardie occidentali, giunse alla supremazia della sola sensibilità al fine di liberare l’arte dal mondo oggettivo, andando verso l’astrazione assoluta con opere come il “Quadrato bianco su fondo bianco”. Poi nel 1920 il russo Antoine Pevsner, trasferito a Parigi, e il fratello Naum Gabo (Pevsner) pubblicano il “Manifesto Realista”, e nel 1922 espongono le loro opere a Berlino. Anche Milano sarà protagonista, nello stesso anno, con “Novecento”, il movimento che darà la stura a un primo confronto con un ritorno all’ordine e il suo contrario, verso altri confronti che investiranno l’arte mondiale.
Tra le forme dell’arte e della società di quel tempo, un’annotazione merita Francis Picabia, a Parigi tra le personalità più efficaci della prima avanguardia, e la Section d’Or (Groupe de Puteaux), cui partecipano i tre fratelli Gaston Duchamp (Jacques Villon), Marcel Duchamp, Raymond Duchamp-Villon, a rappresentare un ramo del cubismo noto come “orfismo”. In Germania Walter Gropius, esponente del movimento europeo di rinnovamento dell’architettura, fonda a Weimar la Bauhaus, una “scuola” (chiusa dal potere nazista nel 1933) che fu centro degli artisti di avanguardia e di originali esperimenti, con un nuovo modo educativo allo scopo d’integrare l’arte e la tecnologia in armonia con tutte le diverse attività artistiche, compreso l’artigianato. In Olanda, invece, nasceva il movimento De Stijl, conosciuto anche come “Nieuwe Beeldende”, neoplasticismo, con l’apporto di Piet Mondrian che con Theo van Doesburg teorizzò forme d’arte astratte ma essenziali e geometriche, escludendo il figurativo, ma anche le linee curve che rischiavano il decorativo e preferendo, dunque, solo segmenti retti e colori primari.
Emergeva la particolarità principale che risiedeva nello sperimentalismo che nasceva all’interno di gruppi formati per definire un metodo e per cambiare tutto, con la tendenza, tra movimenti e manifesti, a riferimenti con altro. Fino a quella che è considerata l’ultima delle avanguardie del primo Novecento: il Surrealismo teorizzato a Parigi dal poeta André Breton negli anni Venti, giacché il fenomeno delle avanguardie considerate storiche si spense intorno agli anni Trenta.
Quello che è certo è che hanno creato un rinnovamento dei linguaggi artistici e hanno avviato un altrove da sondare pur in momenti difficili negli anni di amalgami artistici e di comunanza tra artisti nella nascita di collettivi dove confrontarsi. A Parigi il gruppo Réalités Nouvelles, organizzato nella prima esposizione del 1939; negli Stati Uniti il tedesco Josef Albers realizza opere cinetiche, formando il fondamento dell’astrazione della Op Art, poi sviluppata da Victor Vasarely, mentre New York si preparava ad accogliere molti artisti in fuga dall’Europa nazifascista che porteranno le loro inedite indagini. Nel 1943 l’arte informale materica esplode con il pittore francese Jean Fautrier; fra il 1938 e il 1943 è attivo in Italia il Gruppo Corrente con Treccani. In ottobre del 1946 il manifesto della “Nuova Secessione artistica italiana”, in seguito denominato Fronte Nuovo delle Arti, e nell’aprile del 1947 Lucio Fontana rientrava a Milano con il “Manifesto Blanco” elaborato l’anno prima a Buenos Aires. Nel 1947 a Roma nasceva il Gruppo Forma 1, con Carla Accardi, Consagra, Dorazio e altri; nel 1948, a Roma, l’europeo Gruppo Cobra che rifiuta la tradizione e si oppone alla ricerca della bellezza e dell’armonia nell’arte.
Parte il Movimento Arte Concreta, a Milano ancora nel 1948, in contrasto con il realismo impegnato e all’informale irrazionale per arrivare a un post-informale e a un astrattismo geometrico. Segue la rielaborazione dell’oggetto d’uso quotidiano inserito nell’opera d’arte, mentre a Milano nel 1951 evolve il manifesto del Movimento Nucleare (Baj, Dangelo) con alcuni dei fondatori a Napoli del Gruppo 58 (Colucci) che criticava l’astrattismo per una “nuova figurazione”, mentre a Roma si forma il Gruppo degli Otto, pittori non figurativi: Basaldella, Birolli, Corpora, Moreni, Morlotti, Santomaso, Turcato, Vedova. Poi altre strade di ricerca artistica mentre irrompe il manifesto “Contro lo stile”, che rigettava ogni convenzione stilistica, e il Gruppo Azimuth (Manzoni, Castellani) che chiamava a una pittura come “presenza modificante in un mondo che non necessita più di rappresentazioni”.
Il dissenso poi si esprimerà attraverso la dissoluzione della forma progettata e riconoscibile, in quell’arte degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, con la Pop art e il “nuovo realismo”, mentre a Roma gli artisti di Piazza del Popolo (Angeli, Tano Festa, Fioroni, Schifano) rendevano la capitale a livello di New York e Parigi, nel culmine di una rivalutazione della pittura gestuale che troverà linfa nell’appropriazione del reale e assumerà valenza oggettuale, anche con il “neo-dada” e l’arte povera nel “concettuale” travisato in una “non arte” senza significato. Sarà l’evolversi di eventi, in una sorta di vasi comunicanti tra temi archetipi e suggestioni formali, l’idealismo di anni d’arte legato al progredire della società e che oggi, forse, non è riuscito a superare del tutto l’individualismo esaltante che estremizzava tutto. Ma questa è un’altra storia.
Andrea Barretta